Argomento del mese

CO-HOUSING

01 Luglio 2015


Introduzione

In appendice al meeting “Ictus: Up-to-Date”, svoltosi ad Udine il 20 Novembre 2014 ed organizzato dalla sezione udinese di ALICe, si è svolto un interessante dibattito pubblico dal titolo : “Ictus: e dopo? Il Co-Housing come proposta alternativa alla istituzionalizzazione”.

L’argomento, proposto dalla dott.ssa Donatella Basso (psicoterapeuta e consulente della nostra sezione) in stretta sinergia con gli architetti Bernardino Pittino (presidente dell’Ordine degli Architetti di Udine) ed Ermes Ivo Buzzi, è stato motivo di preliminare confronto con vari attori interessati al problema (pazienti disabili e familiari, assistenti sociali, architetti, responsabili di associazioni e di distretti sanitari) nella consapevolezza che la cronicità della disabilità di varia origine rappresenta già ora una emergenza assistenziale con cui si dovrà necessariamente confrontarsi nel prossimo futuroper proporre e realizzare soluzioni alternative alla realtà della istituzionalizzazione, che si rende necessaria quando i problemi diventano insostenibilmente gravosi rispetto alle risorse familiari disponibili. Se è vero che negli Stati Uniti le proiezioni in materia demografica stimano che entro il 2050 gli ultranovantenni quadruplicheranno, si deduce che si devono tenere in seria considerazione in primis misure di prevenzione primaria e secondaria (ahimè assai poco attuate nella nostra realtà sanitaria) e soluzioni che garantiscano di affrontare le problematiche in modo comunitario con approcci ispirati alla valorizzazione della persona e che consentano, il più a lungo possibile, l’autonomia abitativa in un contesto adeguatamente protetto e/o familiare.A questo riguardo sono sorte, in Italia e all’estero, varie iniziative di coabitazione (Co-Housing) assistita.

Le origini del Co-Housing nella forma attuale risalgono al 1964, quando Jan Gødmand Høyer, architetto danese, comincia il proprio percorso per la creazione della comunità di Skråplanet, primo caso riconosciuto di bofælleskaber, termine danese per indicare il fenomeno. A partire dagli anni Settanta il Co-Housing comincia a prendere piede nei paesi dell’Europa del Nord (in particolare in Danimarca, Olanda, Norvegia e Svezia). Il fenomeno rimane ristretto al contesto nord-europeo fino agli anni ’80-‘90, quando attecchisce prima negli Stati Uniti e, successivamente, in Australia. A livello europeo, negli ultimi decenni il Co-Housing si è diffuso all'esterno dei paesi scandinavi, dapprima in Germania e poi nei paesi mediterranei, tra cui l'Italia. Negli Stati Uniti, nel 2008, i progetti di Co-Housing completati erano 113, mentre erano 111 quelli in corso di realizzazione (residenti totali: circa 6-7.000 persone). In Europa la diffusione è diversificata in base ai paesi, ma mancano stime accurate:in Danimarca esistono circa 600 comunità di Co-Housing, in Svezia, circa 50 casi (nel 2007), in Olanda un centinaio. In Belgio e Regno Unitole esperienze sono inferiori alla  decina, mentre in  Italia ad oggi è segnalato solo un paio di residenze similari, contro una trentina di cosiddetti condomini solidali.

Definizione di Co-Housing

Il termine Co-Housing è utilizzato per definire degli insediamenti abitativi composti da alloggi privati corredati da ampi spazi (coperti e scoperti) destinati all’uso comune e alla condivisione tra i co-housers. Tra i servizi collettivi si contemplano cucine, lavanderie,spazi per gli ospiti, laboratori per il fai da te (hobbies), spazi ludici per bambini, palestra, piscina, internet caffè, biblioteca e altro.

Le abitazioni private sono di solito di dimensioni più limitate rispetto alla media delle normali abitazioni (più piccole dal 5 al 15%). Il motivo è duplice:contenere i costi complessivi dell’intervento (poiché a carico di ciascun proprietario vi è anche una quota-parte delle spese per la realizzazione degli spazi collettivi) e cercare di favorire in questo modo un più intenso utilizzo delle aree comuni.

I progetti iniziali di Co-Housing comprendevano dalle 20 alle 40 famiglie che convivevano come una comunità di vicinato (vicinato elettivo) e gestivano gli spazi comuni in modo collettivo ottenendo in questo modo risparmi economici e benefici di natura ecologica e sociale. Oggi, secondo il nostro parere, sono più indicati progetti che non prevedano più di 6-8 unità abitative con spazi ovviamente comuni. Alla luce delle esperienze maturate il Co-Housing si sta affermando come una strategia di sostenibilità:se da un lato,infatti,la progettazione partecipata e la condivisione di spazi,attrezzature e risorse agevolano la socializzazione e la mutualità tra gli individui, dall’altro questa pratica,unitamente ad altri “approcci” (quali ad esempio la costituzione di gruppi d’acquisto solidale,il car-sharing o la localizzazione di diversi servizi), favoriscono il risparmio energetico e diminuiscono l’impatto ambientale della comunità. 

Aspetti normativi e giuridici

In Italia, le esperienze diCo-Housing nascono grazie all’investimento di un gruppo di persone su un immobile dove l’intenzione è quella di trasferirsi insieme una volta costruito, o ristrutturato, e quest’ultimo è costituito quasi sempre da una proprietà privata divisa. Gli spazi condivisi vengono generalmente assimilati agli spazi condominiali e pertanto ricondotti alle norme e ai modelli urbanistici esistenti.  Il fenomeno si sta sviluppando anche grazie ad un approccio di mercato in cui studi associati di architetti e/o costruttori e agenzie immobiliari vendono soluzioni abitative progettando zone comuni in condivisione con gli acquirenti (progettazione partecipata), dove l'aspetto giuridico è quello normalmente regolato dall'atto di compravendita.Non va tuttavia ignorato il fenomeno del Co-Housing assimilabile ad una tipologia di comunità intenzionale (intentional community). Quest'ultima è spesso caratterizzata dalla condivisione dell’attività lavorativa (aziende agricole e produzioni artigianali), caratteristica che invece non è necessariamente presente nel Co-Housing inteso come nuovo stile abitativo in coabitazione.

Anche in Italia il Co-Housing è iniziato come processo dal basso che, talvolta, ha portato alla realizzazione di comunità intenzionali come ad esempio gli eco-villaggi. Solo negli ultimi anni si è assistito ad una evoluzione dell’approccio come nuova modalità abitativa che staassumendo un certo rilievo anche attraverso la formazione di comitati promotori costituiti spesso in associazioni per la promozione sociale.A differenza delle comunità religiose - che sono giuridicamente riconosciute dallo Stato italiano - il riconoscimento giuridico della comunità intenzionale è ancora solo oggetto di una proposta di legge. Non esistendo normative specifiche, nella costituzione di una comunità per la realizzazione di un Co-Housing è opportuno fare riferimento agli istituti giuridici vigenti che sono:

·       l’associazione culturale, di promozione sociale (APS), di volontariato, non lucrativa di utilità sociale (ONLUS). Non è adatto per persone che pensano di vivere con i proventi di lavoro svolto nell'ambito della comunità poiché può essere prestato solo in forma volontaria;

·       la cooperativa (es. edilizia, abitativa, agricola e di lavoro) che invece disciplina il lavoro dipendente e salariato dei soci, ma non contempla il lavoro proveniente dalla libera attività comunitaria;

·       la fondazione che ben si adatta alla costruzione di un processo di progettazione partecipata quando la comunità che si va formando è legata ad un patrimonio (immobile donato o messo a disposizione sia da privati che da istituzioni).

Al di fuori dell’Italia, nel diritto anglosassone, si possono più semplicemente rintracciare tre configurazioni giuridiche di Co-Housing:

1.     l’abitazione è proprietà privata di ciascun membro mentre le parti comuni sono in comunione di beni della comunità;

2.     il terreno, l’abitazione e le parti comuni sono proprietà dell’associazione (cooperativa) che li cede in affitto ai singoli Co-Houser;

3.     l’associazione dei Co-Houser (cooperativa) affitta gli appartamenti e le parti comuni alla comunità, con restrizioni legali per la vendita della proprietà.

Se l’iniziativa vede coinvolto anche l’ente pubblico, allora devono essere definite le modalità e questo è cruciale se consideriamo le risorse pubbliche come un capitale limitato, da utilizzare in progetti significativi, la cui ricaduta sia sul benessere collettivo. Questa diverso approccio di "secondo welfare" si affianca all'attuale sistema di welfare statale garantito con aperture a diverse collaborazioni tra pubblico e privato.

Il Co-Housing  per lo Stroke (Stroke-Housing)

La proposta di un progetto di Co-Housing cerca di trovare una soluzione per le famiglie che vivono il dramma di una persona affetta da postumi di un ictus e che desiderano condividere vari servizi (assistenziali e non) nel contesto di un sistema mutualistico e solidale.Normalmente si tratta di coppie anziane, ma non sono rari i casi di ictus “giovanile”, a volte anche con figli conviventi. Questi soggetti, ed ancor più i loro famigliari che li assistono o meglio si occupano di loro, si trovano in una situazione di grande difficoltà (assistenza, gestione familiare, handicap relazionale, ecc.) e sconforto, aggravati dall’angoscia del futuro. Cosa potranno fare per i loro cari, quando non saranno più in grado di accudirli? Dovranno abbandonarli ed affidarli, soli, ad una Struttura Sanitaria Pubblica?....o più spesso ad una struttura convenzionata e/o privata, talvolta costosissima e spesso non gradita?

Da queste considerazioni nasce l’idea di mettere fisicamente insieme un gruppo di queste famiglie,   interessate a condividere le proprie difficoltà e a sostenersi a vicenda (Co-Housing).

E’ possibile pensare ad una piccola struttura di tipo condominiale con giardino e spazi di aggregazione in comune: appartamenti con due stanze più bagno e aree aperte a tutti per il vivere in comune (cucina con dispensa, sala pranzo e salottini,appartamento per gli ospiti, palestra con attrezzi, infermeria, lavanderia,libreria, orto e giardino, piccolo luogo di preghiera e meditazione, etc). Il tutto pensato e realizzato per facilitare la socializzazione, rispettando la privacy, tenendo presente che per gli ospiti si tratta della loro abitazione.

Il dibattito pubblico di Udine a proposito del Co-Housing in riferimento all’Ictus

Il dibattito è stato coordinato dal prof. Giorgio Dannisi (presidente dell’Associazione Comunitàdel Melograno), che ha presentato l’esperienza della casa-famiglia, recentemente inaugurata a Lovaria-Pavia di Udine, per soggetti disabili.

Ha poi preso la parola il dott. Roberto Trovò (presidente dell’ANMIC di Udine), seguito dalla dott.ssa Donatella Basso, dalla dott.ssa Gianna Zamaro (direttore del Distretto Sanitario di Udine) e dalla assistente sociale dott.ssa Annalisa Chiappa che hanno portato il loro contributo alla opportunità, se non necessità, di realizzare  esperienze di Co-Housing che sono state illustrate esaurientemente dagli architetti Ermes Ivo Buzzi e Bernardino Pittino. Il dibattito, seguito da un pubblico attento e composto prevalentemente da persone interessate alla disabilità cronica, è proseguito con l’esposizione da parte del dott. Moreno Lirutti di un progetto “Abitare possibile”,realizzato a Feletto Umberto (località nell’immediata periferia Nord di Udine). Per ultimo la dott.ssa Laura Nave ha presentato un video illustrante l’unica esperienza assimilabile al Co-Housing, realizzata a Basaldella di Campoformido (periferia Sud di Udine) per due soggetti affetti da Morbo di Alzheimer.

I lavori sono stati conclusi da Paolo Di Benedetto, presidente di ALICe Udine che, plaudendo alla esposizione dei relatori ed all’interesse del pubblico, ha promesso un impegno di ALICe nel sostenere una campagna di sensibilizzazione per sviluppare progetti di abitazione sostenibile, alternativi alla istituzionalizzazione così come concepita attualmente.

ALICe

A.L.I.Ce. Italia ODV

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